Dal libro di Gianni Falcone riflessioni su sanità e disabilità

Paolo Ricci

L’autore del libro Stazionario sarà lei descrive bene come i passaggi tra rianimazione, terapia intensiva, riabilitazione ospedaliera, territoriale, a domicilio, assistenza comunale siano disarticolati.

Ho letto il libro autobiografico di Gianni Falcone Stazionario sarà lei e alla intensa presentazione di Corinna Albolino vorrei aggiungere qualche considerazione in qualità di medico epidemiologo che si è imbattuto nel tentativo di descrivere e studiare il fenomeno delle disabilità.

Nel suo testo Gianni auspica che si pervenga in sede istituzionale ad un “Registro delle Disabilità”, avendo compreso in corpore vili quanto sia importante ricostruire l’intera traiettoria di vita dei colpiti da disabilità che purtroppo li può accompagnare dalla nascita fino alla morte. Solo infatti ricostruendo l’intera filiera della storia sanitaria e sociale di queste persone è possibile individuarne criticità di sistema che, proprio prescindendo dalla specificità del singolo caso, gettano luce sulle possibili misure correttive da introdurre a beneficio preventivo di tutti.

Gianni ha colto nel segno il problema che gli anelli che costituiscono le stazioni che progressivamente affrontano, anche nel migliore dei modi possibili, le tappe del percorso di disabilità non sono collegati tra loro: i passaggi tra rianimazione, terapia intensiva, riabilitazione ospedaliera, territoriale, a domicilio, assistenza comunale non appartengono ad un progetto unitariamente gestito. Sono spesso i familiari chiamati a renderlo tale, arrabattandosi con i pochi mezzi e competenze a disposizione. E qui che le disuguaglianze sociali della salute tracciano il solco più profondo. Ed è qui che un servizio sanitario che si vuole universalistico dovrebbe intervenire offrendo mitigazioni e compensazioni di ordine socio-sanitario.

È da questa esigenza che si è progressivamente imposto il concetto di “presa in carico” delle cronicità, cui le disabilità di fatto appartengono. Dovrebbe essere affidato ad un “gestore” il compito di agganciare i diversi anelli su cui si distribuiscono interventi socio-sanitari scollegati tra loro, fino al paradosso che ad un emiplegico viene attribuito il codice bianco del PS applicando i medesimi criteri utilizzati per i soggetti privi di disabilità.

Al proposito, si stanno comunque sperimentando diversi modelli organizzativi in alcune regioni del centro-nord. Le difficoltà sono molte perché il SSN ha sempre sofferto di “ospedalo-centrismo” fino al punto da identificarsi con la medesima struttura ospedaliera, mentre a questa dovrebbe essere riservato il solo compito di trattare le acuzie, affidando alle strutture territoriali, in continuità ed in dialogo con quelle ospedaliere, la gestione del post ricovero. Ma, come direbbe Gianni, “non è andata così”. Importante comunque è stato già capire in quale direzione debba essere orientato il SSN, sia per il bene dei pazienti che per la sostenibilità stessa dell’intero sistema sanitario.

Ma se queste sono le difficoltà “relativamente oggettive”, ci sono poi quelle francamente evitabili che naturalmente ineriscono alla burocrazia ammantata da garantismo giuridico. Il riferimento è alla privacy. Sappiamo che i pazienti non sono alberi per cui si muovono, soprattutto se giovani, sull’intero territorio nazionale alla ricerca dei centri di eccellenza per patologia che, ci hanno insegnato, non possono essere presenti ovunque, proprio perché la qualità ha a che fare anche con la quantità, che significa casistica ed esperienza, e quindi vanno centralizzati in alcuni poli del Paese. Ma “i regolamenti” rimangono regionali e se un lombardo va una volta a curarsi in Veneto, acquisire questo pezzo di storia sanitaria da parte di un Servizio lombardo (ma vale anche il contrario) per ricomporre il puzzle e quindi studiare il fenomeno patologico alla luce dell’intera traiettoria di vita (almeno quella sanitaria) diventa arduo. Ecco perché istituire, come vorrebbe Gianni, un “Registro nazionale delle disabilità”, sic rebus stantibus, è praticamente impossibile.

Questo è uno stralcio di risposta che una ULSS veneta in data 2 agosto 2019 mi ha trasmesso a fronte della mia esigenza professionale pubblica di acquisire informazioni sanitarie di un (mio) residente lombardo: “[..] facendo seguito alla sua richiesta di copia della documentazione sanitaria [..] ai sensi della normativa sulla privacy [..] l’accesso alla documentazione sanitaria [..] oltre all’interessato, può essere effettuato solo nei casi e nelle modalità previsti dalla normativa (ad es., soggetto terzo munito di delega dell’interessato). Non pare quindi sussistere al momento adeguata base giuridica che legittimi la trasmissione di quanto richiesto”.

Verona In, 20.08.2019

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